venerdì 27 giugno 2025

"Se te ne vai avrai la peggio!"



Donne che diventano madri e poi fuggono: tra desiderio, debolezza e bisogno di guida

Nel silenzio dei parchi e tra le voci sommesse della quotidianità familiare, si consumano storie che pongono domande profonde sul senso della genitorialità, sul ruolo dell’uomo e della donna, e sullo stato emotivo di chi, dopo aver creato una famiglia, la lascia, spesso senza guardarsi indietro.

È un fenomeno in crescita, quello delle madri che, dopo la nascita di un figlio, scelgono di allontanarsi, di voltare pagina, di inseguire un nuovo amore, lasciando spesso il padre nella posizione inattesa — e socialmente poco prevista — del genitore unico, improvvisamente centrale e totalizzante nella vita del bambino. Ma cosa muove queste donne?

Il paradosso della maternità moderna

La maternità, nell’immaginario collettivo, è spesso vissuta come apice dell’identità femminile, ma nella realtà psichica e sociale può trasformarsi in un peso, soprattutto quando la relazione con il partner non regge il carico della trasformazione. Molte donne entrano nella maternità con un’idea di compimento romantico: il figlio come frutto dell’amore, la famiglia come coronamento di un progetto. Ma se l’uomo, nel tempo, non si conferma come guida o riferimento, il terreno diventa instabile.

L’illusione dell’“uomo compagno” e il bisogno di un “uomo faro”

Spesso si dice che le donne vogliano un uomo "alla pari", empatico, vicino, tenero, disponibile. Ma dietro questa aspirazione si nasconde, a volte, una frustrazione profonda: l'uomo che non guida, che non segna la rotta, che non “fa la differenza” viene percepito come debole. Non è più il “padre della tribù” che dà sicurezza, ma un fratello maggiore, un compagno di giochi, troppo simile per essere seguito.

La donna, specialmente quando si trova in una crisi di ruolo (tra madre, lavoratrice, moglie), spesso cerca istintivamente un uomo che "traini", che la tolga dall’impasse decisionale, che dia senso a una rotta interiore incerta. L’altro uomo, quello che incontra nel momento del bisogno psicologico, appare come “salvatore”, anche se spesso si tratta di una proiezione passeggera. Tuttavia, è sufficiente per provocare una frattura.

Il figlio come “ancora” o come “peso”?

La questione più delicata è proprio il figlio. Il figlio non è, per alcune madri, un ponte d’amore verso il padre, ma diventa il simbolo del legame che le soffoca. Invece di rafforzare l’unione, la rende definitiva, “prigione”, e non progetto condiviso. In queste condizioni, la fuga diventa una risposta emotiva a un vincolo che viene vissuto come fine della libertà, della giovinezza, della possibilità di scegliere ancora.

Molte donne si giustificano dicendo di essere confuse, depresse, fragili. Ma spesso si tratta di un modo per evitare una presa di responsabilità verso la costruzione di sé come madri stabili, e verso la relazione con un uomo che, in fondo, forse non hanno mai veramente scelto con consapevolezza.

E l’uomo?

In questa dinamica l’uomo viene abbandonato, ma non rimosso. Diventa il "genitore vero", il riferimento emotivo del figlio, spesso colui che si rialza, che affronta i giudici, la scuola, le notti insonni. È ironico notare come proprio l’uomo, talvolta accusato di assenza o irresponsabilità, sia quello che resta. E paradossalmente, nella sua stabilità e nel suo amore “silenzioso”, viene rivalutato anche dalla stessa donna che lo ha lasciato, troppo tardi per rimediare.

Conclusione

Non è giusto generalizzare. Ci sono storie e storie, sofferenze vere, errori condivisi. Ma è tempo di iniziare a parlare anche di questa realtà sommersa: madri che fuggono, padri che crescono. E soprattutto del bisogno profondo, troppo spesso taciuto, di donne che cercano un uomo da seguire, non perché siano deboli, ma perché sanno — anche se non lo ammettono — che l'amore, senza guida, diventa solo vagabondaggio emotivo.


Chiosa 

e la sicurezza del futuro, e che sta facendo la differenza e la soluzione per crescere.

Per molte donne che si sentono perse, il richiamo verso un uomo “risolutivo” è irresistibile. Non cercano solo amore, ma una direzione. Una persona che indichi una strada possibile, che dia forma concreta ai sogni, che non parli solo di sentimenti ma costruisca con decisione e visione.

È l’uomo che non si lascia abbattere, che ha una disciplina, che si prende cura degli spazi, delle finanze, delle responsabilità, che sa contenere il caos emotivo e psicologico. A volte, paradossalmente, non è nemmeno quello tenero o dolce: è quello stabile, coerente, magari anche spigoloso, ma presente e coerente. Quello che, agli occhi della donna in crisi, appare come “l’albero fermo nella tempesta”.

La fuga come tentativo di rinascita

La donna che abbandona non lo fa sempre per crudeltà o egoismo. Spesso lo fa perché non riesce più a vedere la possibilità di crescere dentro la relazione che ha. È una fuga da un senso di morte simbolica: della sua identità, del suo desiderio, della sua autonomia. Insegue un uomo che rappresenta per lei un nuovo inizio, un’opportunità per rifondare sé stessa da un’altra parte.

Ma nella maggior parte dei casi, quel nuovo uomo è solo un’illusione. Non perché non sia reale, ma perché non può sopportare il peso delle aspettative irrisolte di chi fugge da sé stessa.

Chi resta, cresce

Ed è allora che chi resta — spesso il padre — affronta il cammino più duro, ma anche più vero. Crescere un figlio senza rancore, senza trasformare l’assenza della madre in una colpa trasmessa, è una delle sfide più alte che un uomo possa affrontare. Ma chi ci riesce, fa davvero la differenza.

Non ci sono facili assoluzioni né condanne. C'è però una verità: chi costruisce, chi resta, chi tiene il timone — anche tra le tempeste emotive — è colui (o colei) che davvero permette la crescita, e spesso lo fa nel silenzio quotidiano, senza bisogno di nuovi amori, ma con un amore radicato nella realtà.


Di Redazione 

L'uomo veicolo



La tua donna si sente molto allegra in società?


La Persona Sociale: tra il Delfino e il Pinguino

Redazione Psico Open – a cura di un autore della nostra équipe

C’è un tipo di persona che, appena entra in una stanza, non entra solo. Si “accende”. È la cosiddetta persona sociale, colei – o colui – che nella sua natura profonda vive per la socializzazione immediata: il gruppo-cena, il gruppo-pranzo, il gruppo-bagno, sportivo, lavorativo, conviviale, musicale. Il gruppo, insomma, come habitat fondamentale.

Ma cosa accade quando questa persona arriva a una festa o a un viaggio accompagnata da qualcuno – un compagno, un'amica intima, un partner affettivo?

Succede, spesso, che non si entra mai in due. Entra lei – la persona sociale – e l’altro si ritrova, senza nemmeno accorgersene, nel ruolo dello spettatore silenzioso, quasi un candelabro che osserva la sua compagna trasformarsi nel fulcro della festa. Sorrisi sfuggenti, danze sedute, linguaggi del corpo avvolgenti, una naturalezza ipnotica nel diffondere charme e desiderio di connessione, anche se ci si era seduti a tavola per due.

Il gruppo, com'è nel suo diritto tribale, osserva e valuta. Non appena la coppia si presenta, ecco che si aprono gli occhi e le espressioni si fanno ammiccanti. Il gruppo, consapevolmente o meno, "accoglie" selettivamente: e mentre l’ospite si fonde, l’accompagnatore – il "non sociale", il compagno più riservato – resta ai margini, a chiedersi se quella serata sarebbe dovuta essere un momento per due o per tutti.

Questo schema non è raro. Può accadere con una ospite estroversa, una "matussa brillante" che per qualche giorno si insedia nella nostra casa chiedendo ospitalità e portandoci, senza preavviso, dentro la sua rete sociale di nuove conoscenze. O in un viaggio esotico in cui l'invitata, invece che condividere l’esperienza con chi l’ha invitata, preferisce dedicarsi al gruppo, salendo letteralmente sopra le spalle della compagnia e lasciando il proprio ospitante alla deriva.

E che dire della psicologamica ventennale, la compagna fluida, dichiaratamente irrelata, che però, nei fatti, si dedica ad altri amici maschi mantenendo verso il partner una costante distanza di sicurezza, rinnegando pubblicamente ogni segnale di unione, soprattutto in contesti sociali?

Ebbene sì, la verità è amara ma chiara: non si può chiedere a un delfino di comportarsi da pinguino.

Perché il delfino danza, si esprime, salta e comunica con molti. Il pinguino invece è monogamo, si rifugia, cammina compatto sul ghiaccio, tenace e leale. E anche se entrambi nuotano, lo fanno per scopi e in ambienti diversi.

Conclusione: l’incompatibilità relazionale nei contesti sociali

Quando siamo in compagnia di una "ragazza delfina" – anziché di una "ragazza pinguina" – la frustrazione può colpire anche il partner più sicuro. Perché la natura sociale dell'altro si manifesta pubblicamente, anche a scapito della relazione.

Pretendere che una persona sociale si contenga, che rinunci alla propria vitalità, che si limiti per rispetto del proprio compagno, significa chiederle di andare contro la sua stessa natura.

E allora? Allora non resta che accettare o lasciare andare, con consapevolezza e senza colpevolizzare. Perché in fondo, in amore come nella vita, bisogna imparare a scegliere chi danza con noi, e non intorno a noi.

Di Redazione 

DonE 


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giovedì 19 giugno 2025

DOPO IL SUCCESSO DI UNOBRAVO E SERENIS LA CATEGORIA PENSA A CREARE PROPRIE NUOVE INFRASTRUTTRE SPECIALISTICHE

 


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lunedì 16 giugno 2025

la vera libertà è solo duale



IL BELLO DELLA LIBERTÀ É SOLO DUALE

✠ Editto contro la Diserzione dell’Anima ✠

In nome della Memoria, del Dovere e dell’Amore Autentico

Noi, testimoni del tempo e custodi delle alleanze invisibili che tengono insieme i cuori e le famiglie, proclamiamo questo atto di verità: contro la Donna Narcisista che, dopo essere stata amata con onore, fedeltà, dedizione e sacrificio, si è sottratta al patto antico, alla memoria comune, all’anima duale, libertaria e non pressante.


✠ Capo I – Del Tradimento senza Spada

È cosa grave e imperdonabile questo tradimento silenzioso, quello che non usa il coltello ma il vuoto, la reticenza, l’abbandono improvviso. Non serve dichiararsi fedeli per vent’anni se poi, senza spiegazione, si getta nel nulla ciò che era stato costruito parola su parola, fianco a fianco, sudore su sudore, preoccupazione reciproca.


✠ Capo II – Dell’Oscura Fuga

È condannabile la fuga verso un eremo interiore, non per guarire, ma per fuggire il confronto. Chi ha camminato con un uomo leggero e dichiaratamente duale confidando segreti e confidenze intime fino al bordo del mondo, non può voltargli le spalle per inseguire se stessa senza spiegare, senza chiedere perdono per questa ritrazione, senza riconoscere che ogni libertà ha un debito verso ciò che l’ha formata.


✠ Capo III – Dell’Orgoglio che Uccide

Non chiedere scusa è l’atto più vile. Chi non chiede scusa, preferisce morire con l’orgoglio piuttosto che rinascere con l’umiltà. E così uccide la relazione, la fiducia, l’amicizia binaria, che non era un accessorio, ma un patto sacro, un giuramento invisibile pronunciato con ogni gesto quotidiano. E chiedere scusa in un post di WhatsApp con una riga formale non è un atto valido Ma è un ulteriore presa in giro posta ad arte ma senza efficacia.


✠ Capo IV – Dell’Anima Abbandonata

Non è l’uomo tradito a essere condannato. È la donna che ha gettato nel fango la memoria condivisa, che ha rinnegato le origini dell’amicizia, le confidenze sulla propria ascendenza, mancata discendenza, la promessa di costruzione, possibile eventuale non negata. Non è più amica, super amica, Ma neanche figlia delle proprie origini, né sorella dei propri mancati fratelli, né madre dei propri figli mai nati, né amante nell’amore Divino incarnato in una persona che si accostava come un angelo custode per proteggere,. aiutare, sorvegliare. È diventata una forma vuota, priva di radici, incapace di tramandare o di restare. Le amiche professionali che affermavano la sua totale capacità di intendere e volere l’hanno imbrogliata e le hanno fatto il peggiore dei mali.


✠ Conclusione

Questo editto non è vendetta. È atto di giustizia verso tutti coloro che hanno amato senza misura. È ricordo scolpito nel marmo, affinché i posteri non dimentichino che amare è atto sacro, ma abbandonare senza spiegare è una profanazione dell’anima.

✠ Firmato dal Custode della Memoria e dell’Onore Testimone del Tempo, della Dedizione e della Fedeltà


Don Erman