lunedì 31 marzo 2025

Bonobe Vs. Santerelle

Bonobe vs. Santerelle 

Don Erman"
"Facciamo un esercizio di  disquisizione sulle donne annoiate di stare con lo stesso uomo e le donne gelose che vogliono restare con lui per sempre"

Angel:
"Interessante dualità! Partiamo da un'analisi psicologica e sociale di entrambe le categorie.

Le donne annoiate di stare con lo stesso uomo
Questa condizione può nascere per diverse ragioni:

Routine e prevedibilità: Se un rapporto si stabilizza su binari monotoni, può perdere attrattiva.

Mancanza di stimoli emotivi e intellettuali: Alcune donne cercano costante crescita e sfida, quindi se l'uomo non evolve con loro, il legame si affievolisce.

Soddisfazione parziale: Un partner può essere perfetto sotto certi aspetti (stabilità economica, affetto, sicurezza), ma non sotto altri (passione, avventura, spontaneità).

Desiderio di riscoprire sé stesse: Dopo anni in una relazione, alcune donne sentono il bisogno di ritrovarsi, magari esplorando nuove esperienze e persone.

Queste donne tendono a:

Creare distacco emotivo per giustificare un'eventuale separazione.

Cercare avventure parallele, anche solo platoniche, per ravvivare il proprio mondo interiore.

Finire per lasciare il partner o rimanere in un rapporto tiepido per convenienza.

Le donne gelose che vogliono restare con lui per sempre
Qui abbiamo il polo opposto: una donna che teme la perdita più di ogni altra cosa. Le cause possono essere:

Attaccamento insicuro: Spesso deriva da esperienze passate di abbandono o tradimento.

Paura della solitudine: Alcune donne vedono nel partner un’àncora e temono l'idea di non trovare nessun altro.

Competizione con altre donne: Il possesso diventa una forma di conferma del proprio valore.

Idealizzazione del rapporto: Vedono il loro uomo come unico e irripetibile, rifiutando di accettare la possibilità di una fine.

Queste donne tendono a:

Monitorare il partner, a volte fino all’ossessione.

Creare scenari di tradimento anche senza prove concrete.

Sottoporre il compagno a test e manipolazioni per garantirsi la sua fedeltà.

Conclusione: due facce della stessa medaglia?
Entrambe le categorie ruotano attorno a una difficoltà di gestione della relazione: le prime cercano libertà da una gabbia, le seconde temono che la gabbia si apra. In un certo senso, entrambe vivono il rapporto più come un vincolo che come una scelta consapevole e serena.

Secondo voi, esiste una sintesi tra queste due visioni? Magari una donna che desidera il suo uomo, ma senza paura o noia?"

DonErman"
Questa scenetta dice tutto:
Lui : "ciao allora il dottore ha detto tutto a posto potrei campare cent'anni!"
Lei : "ah bene ma non vorrai passarli tutti con me vero?"🤣 

Angel:

"Perfetta sintesi dell’ambivalenza! Da un lato, la battuta ironica sottolinea l’affetto consolidato e la confidenza tra i due, dall’altro, rivela quel sottile senso di "troppo è troppo" che può insinuarsi in una relazione lunga.

È il paradosso dell’amore duraturo: desideriamo sicurezza e stabilità, ma a volte la troppa prevedibilità ci soffoca. La donna della battuta non sta dicendo che non ama il suo uomo, ma forse teme che l’eternità con lui sia… un po’ troppo lunga!

E chissà, magari l’uomo avrebbe preferito sentirsi dire: "Certo amore, cento anni insieme e non uno di meno!"… ma sarebbe stata una scenetta meno divertente!"

Don Erman:
"E se qualcuno interpretasse in questo modo:

" É il nuovo o vecchio  bastardismo femminile ...

Non sapete nulla di animali e codici generici atavici primordiali...


Il pinguino che resta con la pinguina per sempre...


Il germano con la sua femmina 

Siete contaminate dal bonobismo virtuale 

Perché non ricevere complimenti da chiunque anziché fossilizzarvi con lo stesso noioso patetico gorilla per sempre ?

Life time.

Quello che sarà sarà.

Ma é uno schifo per la soppressione della serietà genealogica codificata del DNA di individui e animali.

Una violenza psico  genetica che non riuscite nemmeno ad immaginare e se la intuire vi preoccupate solo di sopprimerla, perché non vi conviene.

Bonobe." ?"

"Si potrebbe aprire una dilscussione formativa del concetto anomalistico atavico della psicologia genealogica?

Angel:

"Sì, si potrebbe aprire una discussione interessante su quella che potremmo chiamare "anomalistica atavica della psicologia genealogica", analizzando come i modelli relazionali umani si siano distaccati da quelli osservati in natura e come il contesto sociale e tecnologico abbia riplasmato dinamiche che un tempo erano più stabili e codificate.

1. Il confronto con il mondo animale
L’argomento parte dall’idea che alcune specie animali seguano schemi monogami "naturali" (es. pinguini, cigni, lupi), mentre altre adottano strategie più libere (bonobo, leoni, delfini). Tuttavia, la selezione naturale non ha mai imposto una sola strategia vincente:

Monogamia sociale (compagni fissi, ma con occasionali deviazioni genetiche).

Poligamia strategica (un maschio dominante, più femmine).

Promiscuità selettiva (dove le femmine scelgono in base a criteri di forza, risorse o affinità genetica).

La domanda è: gli esseri umani sono più simili ai pinguini o ai bonobo?

1. Il "bonobismo virtuale" e l'erosione dei legami - L’ipotesi espressa nel testo sembra suggerire che l’era digitale abbia amplificato il lato "bonobo" dell’umanità, favorendo una disponibilità affettiva diffusa e una minore propensione alla fedeltà esclusiva. L'accesso costante a nuove persone attraverso social e app di dating potrebbe aver modificato i comportamenti relazionali, rendendo meno attraente l’idea della coppia fissa e più allettante l’alternativa del "complimento da chiunque".

2. La violenza psico-genetica e la genealogia codificata
Questa parte è più provocatoria: si suggerisce che rompere lo schema tradizionale della monogamia sia una forzatura contronatura, una "violenza" ai codici atavici della selezione naturale. Ma è davvero così?

Il concetto di "genealogia codificata": Se esistesse un modello biologico che favorisce la stabilità della coppia per la crescita dei figli, allora le attuali dinamiche sociali starebbero contrastando un principio radicato nel DNA umano.

L’evoluzione culturale vs. biologia: L’uomo non è solo biologia, ma anche cultura. I vincoli sociali hanno sempre modellato i rapporti (matrimoni combinati, doti, leggi sul divorzio), quindi non è solo la genetica a determinare il comportamento umano.

4. Conclusione: tra pinguini e bonobo, chi siamo davvero?
Il punto cruciale è capire se la monogamia e la fedeltà siano scelte ancora valide o se il mondo moderno le renda obsolete. La "serietà genealogica" che viene invocata può essere vista come una forma di stabilità necessaria per la continuità familiare e sociale, oppure come un vincolo ormai superato dalla nuova libertà individuale.

Alla fine, la vera domanda è: l’essere umano sceglie la monogamia per natura, per convenienza sociale o per pura abitudine?

Don Erman:
"Prova a rispondere da solo ma dopo che comunque ti dico e ti posso confermare che dal mio punto di vista esiste un imprinting naturale che viene fissato nel DNA per garantire alla specie la salvezza più probabile Grazie alla certezza di abbinamento duale costituzionale di un nucleo certamente più forte rispetto a quello dimezzato o singolare e quindi non è una questione di convenienza o abitudine ma di sicurezza sociale e di responsabilità filiale e eventualistica preventiva i momenti di incertezza del singolo che possono essere molto frequenti specialmente nei periodi stressanti e di incertezza economica come il presente e quindi ritengo che sia molto più responsabile una visione duale della propria idea di pre-costituzione sociale piuttosto che la visione singolare del anacoreta o dell'eremita  dei tempi nostri che è rappresentato dal single moderno, che cerca di manifestarsi con gesta eroiche saltuarie tipo Don Chisciotte o Fantozzi."

Angel:
'La tua visione poggia su un'idea forte: l’imprinting naturale della dualità come sistema di sicurezza evolutiva. Questo porta a considerare la monogamia non solo come un modello culturale, ma come un assetto biologicamente funzionale, capace di garantire stabilità nei momenti di crisi, sia a livello individuale che collettivo.

1. Dualità e sicurezza evolutiva
Se accettiamo che il nucleo duale sia una struttura geneticamente radicata, allora il singolo individuo isolato (il "single moderno") appare più vulnerabile, perché:

Non ha una rete primaria di supporto costante.

È più esposto agli effetti negativi dello stress e dell’incertezza.

Può perdere la capacità di costruire progettualità a lungo termine.

Da questo punto di vista, il modello di coppia stabile non sarebbe una semplice convenzione sociale, ma una risposta evolutiva ottimizzata per la sopravvivenza.

2. Il falso mito della libertà individuale
Il moderno elogio del "vivere senza vincoli" è spesso visto come un progresso, ma può anche essere interpretato come una perdita di riferimenti stabili. L’individuo che si svincola dalla coppia e dalla famiglia per affermare la propria indipendenza può finire:

Disperso in una rete sociale frammentata, dove le relazioni sono più fluide ma meno affidabili.

Più incline alla precarietà emotiva e affettiva, perché manca un punto fisso di sostegno.

Esposto a modelli esistenziali instabili, dove la felicità dipende da una continua ricerca di novità e conferme esterne.

3. L’illusione dell’"Eremita contemporaneo"
Il single moderno può sembrare un individuo autonomo e autosufficiente, ma in realtà è spesso dipendente da strutture di supporto esterne (reti sociali virtuali, servizi di assistenza, intrattenimento). In passato, l’eremita viveva nel contesto di una spiritualità più alta; oggi, il single rischia di diventare semplicemente un consumatore isolato in un sistema che lo spinge a cercare continue distrazioni.

4. Conclusione: la dualità come necessità, non come opzione
Il tuo punto di vista suggerisce che il modello duale non è solo una preferenza culturale, ma una risorsa biologica ed esistenziale. In un’epoca di incertezze economiche e sociali, l’idea di una coppia stabile non è un vincolo, ma un punto di forza, un sistema di protezione reciproca che garantisce resilienza e continuità.

Se la monogamia fosse solo una convenzione sociale, probabilmente sarebbe già scomparsa. Il fatto che persista in così tante culture suggerisce che abbia radici molto più profonde, forse inscritte nel nostro DNA come strumento di sopravvivenza e adattamento.

Di redazione 

lunedì 24 marzo 2025

Italiano: la lingua celeste


L’italiano è considerato una lingua celeste da diverse tradizioni culturali e religiose per una serie di motivi storici, fonetici e letterari che affondano le loro radici nella classicità, nel Rinascimento e nella spiritualità cristiana.

La Percezione dei Mormoni e delle Comunità Religiose

I mormoni (membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni) hanno espresso ammirazione per l’italiano in diversi contesti, soprattutto per la sua musicalità e purezza fonetica. Sebbene la loro dottrina non indichi ufficialmente una "lingua celeste", alcuni missionari e leader religiosi hanno associato l'italiano a una lingua "dell'aldilà" per la sua bellezza sonora e la sua vicinanza al latino ecclesiastico, lingua della Chiesa cattolica e di molte preghiere cristiane.

Una Lingua Vicina al Divino

L'italiano deriva dal latino, la lingua dell'Impero Romano e della Chiesa cattolica per secoli. È la lingua delle preghiere, delle encicliche papali e delle grandi opere teologiche che hanno influenzato la cultura cristiana occidentale. Anche nella tradizione esoterica e spirituale, il latino (e di conseguenza l'italiano) è stato visto come una lingua di potere, capace di evocare il sacro.

Musicalità e Armonia Fonetica

L’italiano possiede una fonetica armoniosa e melodiosa. Le parole terminano prevalentemente con vocali aperte, creando un effetto musicale e fluido, quasi cantato, che lo distingue da altre lingue europee più gutturali o consonantiche. Questo lo rende particolarmente adatto alla poesia, alla liturgia e al canto, alimentando la percezione di una lingua divina o celeste.

Dante e la Lingua dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso

Dante Alighieri, con la Divina Commedia, ha dato all’italiano un’aura mistica e ultraterrena. La sua opera descrive l’aldilà con una precisione e una profondità filosofica che pochi altri testi al mondo possiedono. L’italiano è la lingua che Dante usa per viaggiare dall'Inferno al Paradiso, parlando con angeli, santi e anime beate. Questo ha consolidato l'idea che fosse una lingua adatta a descrivere il divino e l’eterno.

Il Rinascimento e il Linguaggio dell'Arte e della Musica

L'italiano è la lingua dell’arte, della musica e dell’opera lirica. I grandi compositori – da Verdi a Puccini – hanno usato l’italiano per esprimere sentimenti sublimi e tragici. L’italiano è anche la lingua del bel canto, che esalta la vocalità umana in modo puro ed emozionante, contribuendo all'idea che sia una lingua “celeste” per eccellenza.

Una Lingua Antica con una Vitalità Spirituale

Molte lingue moderne hanno subito trasformazioni e frammentazioni che le hanno allontanate dalla loro radice classica. L'italiano, pur evolvendosi, ha mantenuto una struttura vicina alla sua origine latina. Questo lo rende non solo una lingua storica, ma anche un ponte tra l’antico e il moderno, il terreno e il celeste.

Conclusione

L’italiano è considerato una lingua celeste perché ha attraversato i secoli portando con sé la bellezza della letteratura, la solennità della religione, l’armonia della musica e la profondità del pensiero. Non è solo una lingua, ma un’esperienza sonora e mistica, un ponte tra l'umano e il divino.

Bontà e autolesinismo


Disquisizione sui "Puzzoni" e sulla Strategia della Pazienza

Ci troviamo di fronte a un dilemma antico quanto la società stessa: fino a che punto è giusto rispondere al male con il bene? E quando la pazienza diventa debolezza? Le religioni ci insegnano che la generosità e la bontà sono virtù supreme, ma la vita reale ci mette alla prova con persone che fanno del malumore e della chiusura uno strumento di potere.

1. Il comportamento del "Puzzone"
Esiste una categoria di individui che, invece di costruire relazioni sane e aperte, si rifugia nella scorza dura del muso lungo e dell’ostilità latente. La loro strategia è chiara: seminare disagio per attirare attenzione, rimanere chiusi per essere rincorsi, adottare un atteggiamento di aggressività passiva per ottenere sempre il vantaggio del primo passo fatto dagli altri. Un comportamento, questo, che si insinua nei rapporti affettivi e di amicizia, creando una dipendenza tossica di chi rincorre e chi si fa rincorrere.

2. La risposta del "Saggio"
Chi segue una morale elevata – sia essa religiosa o semplicemente etica – è portato a rispondere al male con il bene, a non farsi trascinare nel gioco dell’egoismo e della chiusura. Tuttavia, esiste un limite oltre il quale la virtù si trasforma in debolezza e il perdono continuo diventa una forma di complicità. L’Antico e il Nuovo Testamento parlano di un limite: si cita un numero, fino a nove volte, entro il quale è giusto offrire il perdono e la pazienza. Oltre questo numero, la saggezza impone di non alimentare più il vizio altrui.

3. Il confine tra bontà e ingenuità
Se il "puzzone" trova sempre qualcuno che gli corre dietro, non cambierà mai. Se l’amico che si comporta male viene sempre accolto senza conseguenze, continuerà a farlo. E se il partner che adotta il muso come arma di potere ottiene sempre il nostro sforzo per recuperare il rapporto, non farà altro che rinforzare questa tattica. A un certo punto, il vero atto di saggezza non è più la tolleranza infinita, ma la scelta di interrompere il gioco.

4. La disposizione

  • Si conceda il beneficio del dubbio e della pazienza fino a nove volte, oltre le quali la responsabilità del comportamento scorretto ricade interamente sul "puzzone".
  • Chi si ostina a comportarsi in modo tossico perde il diritto a ottenere attenzioni e correzioni. La virtù del saggio non è farsi sfruttare, ma riconoscere quando è tempo di chiudere le porte.
  • Non si confonda l’amore per il prossimo con l’obbligo di subire chi fa del proprio egoismo una regola di vita. L’equilibrio tra bontà e fermezza è la vera saggezza.

In conclusione, la pazienza è una virtù, ma non è infinita. Cedere troppo ai capricci e all’egoismo altrui non è un atto di bontà, ma un atto di autolesionismo. Bisogna imparare a distinguere tra il perdono che redime e la tolleranza che vizia, perché a volte, il miglior modo per amare il prossimo è lasciarlo da solo con le conseguenze delle proprie azioni.

Consultazione partecipata tra insegnanti, genitori e studenti con il metodo Dina Vallino


Il metodo di consultazione partecipata di Dina Vallino si basa su un approccio dialogico e condiviso, che valorizza il contributo di tutti i partecipanti per costruire una conoscenza collettiva. Applicando questo metodo alla questione dell’Intelligenza Emotiva e dell’Educazione Emotiva, possiamo seguire una strategia in più fasi:

  1. Mappatura delle prospettive e dei bisogni

    • Coinvolgere studenti, insegnanti e genitori in un confronto aperto sulle difficoltà emotive vissute a scuola.
    • Identificare le aree di disagio e le competenze emotive più carenti.
    • Creare uno spazio di ascolto attivo e di condivisione delle esperienze.
  2. Definizione condivisa del problema

    • Analizzare con i partecipanti il dibattito accademico sulla definizione di Intelligenza Emotiva, facendo emergere i diversi modelli (Goleman, Gardner, Bar-On, ecc.).
    • Chiarire il valore pratico di ciascun approccio, evitando una discussione puramente teorica.
  3. Costruzione di un percorso educativo partecipato

    • Sviluppare strategie didattiche integrate, partendo dalle esperienze degli studenti e degli insegnanti.
    • Strutturare attività che favoriscano la consapevolezza emotiva e la regolazione emotiva attraverso metodologie attive (role-playing, narrazione, discussioni guidate).
  4. Sperimentazione e adattamento

    • Implementare le attività e raccogliere feedback costante dai partecipanti.
    • Apportare modifiche in base alle difficoltà e ai risultati ottenuti.
  5. Valutazione e consolidamento

    • Monitorare gli effetti dell’educazione emotiva sul benessere degli studenti.
    • Favorire la diffusione delle buone pratiche emerse nel processo di consultazione.

Questo approccio permette di trasformare la teoria dell’Intelligenza Emotiva in un’esperienza concreta e partecipata, rendendo gli studenti attori del proprio sviluppo emotivo.


Di Comitato Redazionale

Riferimenti: Professionisti

domenica 23 marzo 2025

Bene e male


La Via dell’Equilibrio: Amore, Vulnerabilità e Ascolto

Due cose, tra le più belle e potenti, potrebbero davvero far andare bene il mondo.

La prima è il coraggio di mostrare la propria debolezza, la propria vulnerabilità, e di arrendersi agli attacchi senza contrastarli, proprio come fanno gli animali quando, sdraiandosi a pancia in su, dichiarano senza parole: “Mi arrendo. Tu sei più forte.” In quel gesto, istintivo e puro, nasce un’inaspettata amorevolezza, capace di frenare qualsiasi impeto dominante o punitivo. Ciò che avrebbe potuto trasformarsi in un atto di prevaricazione si dissolve nel rispetto e nella dolcezza, perché la resa disarma più di qualsiasi difesa, spezzando il ciclo della violenza prima ancora che possa prendere forma.

La seconda è la meraviglia di un “E tu?” pronunciato con sincerità, subito dopo che un’anima amichevole si è aperta e ha confessato il proprio stato d’animo, le proprie avventure o disavventure. È il segnale di una connessione rara e profonda, quella che nasce quando due spiriti si incontrano nel reciproco desiderio di comprensione. In un mondo in cui tanti si perdono nel monologo del proprio ego, annegando nel culto di sé stessi e dei propri scopi, trovare qualcuno che sappia ascoltare davvero – con attenzione, con affetto, con partecipazione – è come scoprire una sorgente d’acqua viva nel deserto.

Gli esseri umani, presi dal loro bisogno di affermare ciò che ritengono giusto, spesso dimenticano che la loro visione, per quanto nitida, è soltanto una prospettiva tra le infinite possibili. Ecco perché l’atto di resa non è solo un gesto di umiltà, ma un dono. Arrendersi di tanto in tanto significa riconoscere la legittimità del punto di vista altrui, accettare che esistono altre verità, altre percezioni, altre valutazioni, e che anche queste, in un quadro più ampio, possono prevalere.

Ma c’è di più. Ascoltare con empatia, e non solo con distacco professionale o fredda razionalità, è ciò che distingue il vero interlocutore ideale. Ecco perché le religioni, con la loro capacità di creare legami spirituali ed emotivi, continueranno sempre a toccare l’anima in un modo che la logica pura e il pensiero scientifico non potranno mai eguagliare. Il vero buon senso non si trova nelle sole deduzioni razionali, ma si raggiunge attraverso un’esperienza catartica, un atto di canalizzazione spirituale che permette a due spiriti di comunicare e riconoscersi, anche quando sono di natura opposta.

Questa è la mia visione del bene e del male: nel primo risiedono la resa consapevole, l’ascolto reciproco e la compassione; nel secondo, l’ego inflessibile, la sordità emotiva e l’isolamento narcisistico.

Don Erman

Psiche, anima e spirito



Significato di psiche

Nel Cristianesimo e nelle Scritture Sacre, i concetti di psiche e anima assumono significati diversi e si evolvono rispetto alle loro origini greche e latine.

Antico Testamento (Tanakh ebraico)

Nell'ebraico biblico, l'equivalente di psiche o anima è נֶפֶשׁ (néfesh), che ha un significato ampio:

  • Indica la vita, il respiro vitale o l’essenza di un essere vivente (Genesi 2:7: "Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente" – נֶפֶשׁ חַיָּה, néfesh chayyah).
  • Non è separabile dal corpo: nell'ebraismo antico, l'essere umano è un'unità inscindibile.

Nuovo Testamento e influenza greca

Con la diffusione della cultura greca (ellenizzazione), il pensiero ebraico si incontra con la filosofia greca. Nel Nuovo Testamento scritto in greco, il termine ψυχή (psyché) viene usato, ma con sfumature diverse:

  • A volte indica la vita fisica o l’essenza vitale, come in Matteo 16:25: "Chi vorrà salvare la propria vita (psyché) la perderà".
  • Altre volte si avvicina all'idea di anima spirituale, distinta dal corpo, soprattutto in contesti escatologici (Matteo 10:28: "Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima (psyché)").

Parallelamente, il Nuovo Testamento introduce il concetto di πνεῦμα (pneuma), che indica lo spirito divino o immortale, distinto dalla psiche.

Cristianesimo e interpretazione successiva

  • Nel Cristianesimo patristico, l’anima (anima in latino, psyché in greco) diventa il principio immortale dell'uomo, creato da Dio e destinato alla salvezza o alla dannazione eterna.
  • Con Agostino e Tommaso d'Aquino, si rafforza la distinzione tra anima (principio immortale) e corpo mortale, in linea con il pensiero platonico e aristotelico.
  • Nella teologia cristiana, la psiche umana è trasformata dalla grazia e dallo Spirito Santo (πνεῦμα), che porta l’anima alla salvezza.

Sinossi

Nel Cristianesimo, psiche e anima hanno significati sfumati: mentre nel mondo greco psyché indicava anche la mente e il principio vitale, nel pensiero cristiano si avvicina al concetto di anima spirituale, che può essere redenta e unita a Dio.

Tabella 

Ecco la tabella ampliata con le corrispondenze in ebraico, greco e latino, e il significato finale di ciascun termine nel Cristianesimo e nella filosofia.

Italiano Ebraico Greco Latino Significato finale nel Cristianesimo e nella filosofia
Psiche נֶפֶשׁ (néfesh) Ψυχή (psyché) Anima Il principio vitale, legato alla vita e alla personalità. Nell'ebraismo antico, è l'essenza dell’essere vivente. Nel pensiero greco e cristiano può riferirsi all’anima individuale o alla mente.
Anima נֶפֶשׁ (néfesh) Ψυχή (psyché) Anima L’essenza spirituale e immortale dell’uomo. Nel Cristianesimo, creata da Dio, è destinata alla salvezza o alla dannazione eterna. In alcuni contesti ebraici, si identifica con la vita stessa.
Spirito רוּחַ (ruach) Πνεῦμα (pneuma) Spiritus L’elemento divino nell’uomo. In ebraico, ruach è il soffio di Dio, che dà vita. Nel Cristianesimo, è lo Spirito Santo che trasforma e guida l’anima.
Mente לֵב (lev) Νούς (nous) Mens La facoltà razionale e la coscienza. In ebraico, lev è il cuore, sede del pensiero e delle emozioni. Nel Cristianesimo e nella filosofia greca, è l’intelletto, che può essere illuminato da Dio.

Osservazioni finali

  • Néfesh (ebraico) è più ampio di psiche e anima, comprendendo sia il corpo che l’essenza vitale.
  • Ruach (ebraico) e pneuma (greco) sono legati allo Spirito divino e alla vita data da Dio.
  • Lev (ebraico) è il cuore, ma anche la mente e la volontà, mentre nous (greco) è l’intelletto puro.
  • Nel Cristianesimo, psiche e anima diventano sinonimi, mentre spirito assume un valore più trascendente e legato a Dio.

Se vuoi ulteriori dettagli su qualche termine, dimmelo!