venerdì 16 maggio 2025

Lectio Magistralis Recalcati Cinisello



Sintesi della Parte 1 del discorso 

Nel nostro tempo, ossessionato dall'allungamento della vita, si sacrifica la vitalità autentica in nome del benessere e della durata. Ma il vero valore non è vivere a lungo, bensì vivere intensamente. L’educazione ha il compito fondamentale di accendere il desiderio nei figli – desiderio per qualcosa che dia senso alla vita (arte, sport, amore, conoscenza…). Questo è il cuore della prevenzione, più di ogni regola o controllo.

Il vero obiettivo educativo non è imporre regole esterne, ma scrivere nella “carne del cuore” dei figli il senso della legge: cioè la consapevolezza che “non tutto è possibile”. È questo limite, il “non tutto”, che struttura ogni civiltà, e che va interiorizzato per crescere. Non si rinuncia per paura della sanzione, ma perché ci si appassiona ad altro. La libertà nasce dal limite, non dal tutto.

L’arrivo del “due” – un fratello, un altro punto di vista, una democrazia – rompe l’illusione del totalitarismo dell’“uno”. Il trauma del due (come tra Caino e Abele) è fondante per imparare a convivere con l’altro. L’educazione serve a far accettare questa alterità, senza mortificare la vita ma anzi proteggendola. Il vero educatore non impone con sadismo, ma accompagna nel riconoscere e abitare la propria “stortura”, come una vite che cresce viva anche se non perfetta.

Sintesi della Parte 2 del discorso di Massimo Recalcati:

Recalcati riflette sul tema dell’eredità, intesa non come trasmissione di contenuti precisi o norme rigide, ma come trasmissione di un desiderio, di una passione viva. L’eredità si manifesta in forma invisibile: non è ciò che si dice, ma ciò che si testimonia attraverso la vita. I figli non ricordano i discorsi sul senso della vita, ma ricordano se il genitore ha mostrato che la vita può avere un senso.

Il desiderio dei genitori è ciò che lascia il segno, anche se non immediatamente. Serve tempo, pazienza e fede nel desiderio del figlio, che va messo alla prova e sostenuto. Recalcati fa l’esempio di un figlio che vuole fare teatro: se il desiderio è autentico, resisterà alle difficoltà.

Il “no” dei bambini, come anche le bugie, sono segnali importanti: indicano l’emergere di un pensiero proprio, di una separazione necessaria. La bugia è vista positivamente perché rappresenta la nascita di un mondo interiore separato dal genitore.

Infine, Recalcati parla del passaggio dall’infanzia all’adolescenza: da piccoli l’angoscia deriva dall’assenza dei genitori, da adolescenti l’angoscia può derivare dalla loro presenza troppo invadente. Alcuni “no” dei figli sono tentativi sani di separazione e individuazione. Anche patologie come l’anoressia, nella loro radice, possono esprimere un desiderio estremo di differenziazione e autonomia.

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Di Redazione 

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Parole dette da Recalcati 

(Ecco la prima parte del discorso pronunciato -  translitterazione della registrazione sonora del discorso)



“Il fuoco del desiderio e il senso della legge”

Non si tratta semplicemente di eredità materiale. L'eredità vera è una continuità, anche nella discontinuità: è un filo sottile che collega generazioni, anche quando i mestieri o le scelte di vita sembrano differenti. Guardate chi lavora con passione: magari fa qualcosa di molto diverso da ciò che facevano i genitori, eppure si percepisce quel filo invisibile che trasmette il fuoco.

Io stesso ho fatto esperienza del desiderio dei miei genitori, non perché mi abbiano detto “questo è il senso della vita”, ma perché la loro esistenza mostrava che la vita può avere un senso. Non spiegavano, testimoniavano.

I semi della testimonianza

Quando saremo adulti, ciò che ci resterà dentro non saranno tanto le parole, quanto le testimonianze. Anche se i genitori sbagliano, anche se non sono perfetti, ciò che lascia un segno è il desiderio che li muove.

E poi ci sono i maestri, la scuola. Almeno uno – spesso uno solo – lo ricordiamo. Non perché ricordiamo esattamente la materia che insegnava, ma per come ci ha insegnato. Per lo stile, per il modo in cui entrava in rapporto con il sapere. Per il suo spirito, che accendeva in noi una scintilla.

Il desiderio non si insegna, si testimonia

Il dialogo tra genitori e figli non sempre lascia traccia, soprattutto con gli adolescenti. Ti raccontano qualcosa di profondo la sera, e il giorno dopo è come se nulla fosse cambiato. Ma ciò che resta, nel tempo, è la testimonianza del desiderio. I frutti non si vedono subito, ma col tempo emergono.

Serve pazienza. E fede. Fiducia. La fiducia che abbiamo nei figli nutre il loro desiderio.

Se un figlio vuole fare teatro, per esempio, non lo prendiamo subito sul serio, magari ridiamo, ma se è un vero desiderio, allora resisterà alla prova. Il capriccio si scioglie al primo ostacolo. Il desiderio, invece, dura. E allora noi dobbiamo avere fede nel desiderio del figlio, perché più ci crediamo, più si irrobustisce.

Il no e la bugia: esercizi di separazione

Il “no” dei bambini è come una bugia. E questo non è un male. È una scoperta: il bambino scopre che può avere un pensiero suo, un segreto che i genitori non conoscono. È un'esperienza di separazione. Poi, magari, dirà la verità – dopo un giorno, un mese, un anno – ma intanto sta imparando a separarsi.

Questo “no” prefigura l’adolescenza: il momento in cui la presenza del genitore può causare angoscia. Il bambino piccolo si calma con la presenza. L’adolescente, invece, si sente soffocato. È un passaggio difficile: smettere di essere angosciati dall’angoscia dei nostri genitori. È un tratto infantile che può durare anche da adulti.

L’anoressia, ad esempio, è una forma patologica di separazione: “non mangio perché voglio essere diversa da te”. È un rifiuto che dice: “Non sono te, voglio essere me stessa”.

Una vita viva, non solo lunga

Viviamo in un’epoca ossessionata dalla durata della vita. Facciamo di tutto per allungarla, tra tecnologie, rinunce e regole salutiste. Ma dimentichiamo che non conta la lunghezza della vita, ma la sua intensità, la sua ampiezza.

Educare, allora, non significa solo proteggere, regolare, curare: significa accendere la vita dei nostri figli. E questo è il gesto più potente di prevenzione.

Possiamo preparare il terreno migliore, mettere i semi migliori, ma nessuna attenzione, per quanto premurosa, potrà assicurare la felicità del figlio. È una verità dolorosa ma va detta. A volte i figli si perdono – nella depressione, nella dipendenza – e i genitori hanno fatto tutto il possibile. Anzi, spesso sono genitori migliori di noi.

Il senso della legge

Non c'è una causalità semplice tra educazione e risultato. Non è: “faccio questo, ottengo quello”. C'è sempre una distanza. E in questa distanza si gioca tutto.

Oggi si moltiplicano le regole, ma non per forza si educa. Si moltiplicano perché manca il senso della legge. La legge non è solo una regola esterna: è qualcosa che va scritta nel cuore del figlio. Come dice il profeta Ezechiele: “nella carne viva del cuore”.

Io guardo i miei figli e posso dire: “forse sbaglieranno, forse cadranno, ma non uccideranno, non ruberanno, non si perderanno completamente”, perché il senso della legge è stato iscritto nel loro cuore. Non come paura della punizione, ma come assenza di desiderio verso ciò che è sbagliato, perché altri desideri – più vivi, più alti – li abitano.

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 Ecco  la seconda parte del discorso di Recalcati diviso in quattro parti 


PARTE 1

Benedetti fratelli e sorelle, mi ricordo perché i fratelli e le sorelle ci ricordano che non sei il centro di più, trauma virtuoso, trauma positivo. C’è un pluralismo. I fratelli e le sorelle ci ricordano che devi fare il lutto del numero, che dal punto di vista politico è l’esperienza della democrazia. No: l’esperienza della democrazia è fare il lutto dell’uno. Non tutti pensano quello che pensi. Sei obbligato a tradurre le lingue degli altri. Come in una famiglia. Quando nasce un fratello, nasce una sorella.

Mi ricordo il mio vecchio professore Franco Fornari alla Statale di Milano, quando seguivo i suoi corsi affollatissimi, come questa sera. Era un piacentino contadino. Diceva: “Su Freud, Freud è come il maiale, non si butta via niente.” Giusto per darvi l’idea del tempo. E poi lui dava la parola, e c’erano sempre alcuni che alzavano la mano, intervenivano e cominciavano a fare una seconda lettura. Lui ascoltava con pazienza e poi, quando terminavano, diceva: “Scusi, ma lei è figlio unico?” Gli unici non sanno – tranne mia moglie ovviamente, che non è qua – non sanno che c’è l’altro, il trauma del due.

Se volete: il passaggio dal totalitarismo del “mio” alla democrazia del “due”, dall’“uno” al “due”. Un passaggio difficile. Pensate alla vicenda tra Caino e Abele, no? Quando arriva il “due”, Caino reagisce con la guerra. La guerra è questo: l’incapacità di fare il lutto dell’uno. Due popoli in due stati: perché non è possibile? Perché da ambo le parti non sanno fare il lutto dell’uno. E tra l’altro sono i fanatismi religiosi, da ambo le parti, che non sanno fare, non sanno pensare il “non tutto”.


PARTE 2

Ma qui torniamo alla legge. La legge dice: non puoi tutto. “Non tutto”, ma lo fa, attenzione, questo è centrale anche nei rapporti tra maestri e allievi, a scuola: l’iscrizione del “non tutto”. Ma questa iscrizione è per castigare? Punire? Mortificare la vita? “Non puoi far tutto quello che vuoi” – è per spiegare, per punire, per mortificare la vita? Aggiungo: magari godendo, come accadeva prima del ’68 nelle scuole italiane.

L’esercizio sadico del potere, dove il maestro godeva nel somministrare punizioni, castighi. Dove anche in famiglia si godeva nel somministrare castighi, punizioni. Mi ricordo, quando ero alle elementari – io vengo da queste parti, Cernusco sul Naviglio – i miei genitori… una volta eravamo in seconda elementare. Tutti i maschi, ovviamente, da una parte, e le femmine dall’altra, col grembiule nero. A un certo punto nevica. E tutti noi guardiamo la neve. E la maestra, la maestra milanese incazzata perché doveva venire a Cernusco, in provincia, con dei balordi che avevano nelle loro lingue le schegge del dialetto, ci fumava murati in classe con uno chignon, il mostro.

Vi ricordo che per la prima uscita – noi, seconda elementare – c’era… a me è morto il primo maestro. Qui eravamo anche afflitti. Arriva e ci guarda: “Voi siete tutti delle viti storte. Io sono il paletto e il filo di ferro, e il mio compito è raddrizzarvi.” Processione. Come dovrebbe fare una brava maestra. “Voi siete tutti delle viti storte, giusto. Ma io vi amo. La stortura è vostra.”


PARTE 3

Penso che – come dice il grande poeta – dai diamanti, cioè dai perfetti, non nasce niente. E che dal letame, cioè dalla nostra stortura… mentre il gesto era “raddrizzarci” come delle viti storte, ma generare paura, generare timore, come la rappresentazione catechistica cattolica del Dio di cui bisognava avere paura, timore. Una volta: proteggerci. Questo è un punto molto importante. Il vero educatore – il genitore, il maestro o chi per lui – è obbligato a esercitare il potere, perché sennò il “non tutto” non esisterebbe.

È obbligato a dire dei “no”. Un mio paziente, giovane tossicomane, dice: “I miei genitori non mi hanno mai detto un no che sia stato un vero no.” Quindi noi dobbiamo dire dei no. Un maestro, una maestra devono dire dei “no”, ma non godono quando lo dicono. Non esercitano il potere con piacere. Lo fanno controvoglia. Lo devo fare. Lo faccio. Dico “no”. Ma lo dico perché tu possa desiderare.

Allora: il “non tutto”, il “non puoi tutto”, serve non a mortificare la vita, ma ad accendere il desiderio, a rendere possibile il movimento del desiderio. Proprio perché non puoi sapere tutto – torniamo a Genesi – proprio perché non puoi sapere tutto il sapere, puoi conoscere. Proprio perché non hai tutto, non puoi avere tutto, non puoi essere tutto, puoi desiderare. E questo è il denominatore comune del disagio giovanile, se ci pensate.


PARTE 4

Se pensiamo alla tossicomania, all’alcolismo, alla violenza, alla dipendenza tecnologica, agli attacchi di panico, eccetera eccetera… e dovessimo dire: c’è un denominatore comune? Certo che c’è: la fatica di desiderare, la mancanza della vocazione al desiderio. E perché c’è questa mancanza? Perché non c’è stata esperienza del “non tutto”.

Allora, perché alcuni miei colleghi vanno in televisione? Io, tra l’altro – è detto – non ci vado mai, rifiuto sempre. Mi chiamano tutte le settimane più volte, non ci vado mai. Vado una volta l’anno, non mi piace. Il talk show è una roba insopportabile per me. Ci vado solo se posso parlare da solo. Ho chiesto: “Vengo solo se mi fate stare da solo.” Ecco. Molti miei colleghi invece ci vanno. E cosa dicono del disagio giovanile? Che i genitori sono smidollati. Che i figli sono diventati re. Che bisogna dare mazzate.

No. Non hanno bisogno di mazzate.

Vi ricordate la neve? La maestra ci ha visti sopraffatti dalla bellezza della neve. E ci ha detto: “Nessuno di voi mi ascolta. Seguitemi.” Ci ha portati fuori, nel campo di calcio innevato. Ci ha messi in fila. Mancava il mitragliatore. Dopo cinque minuti con le mani fuori, sono uscito delle bistecche. Mio padre ha visto le mani: “Oh, come era bello una volta!” Rimpiangono questi tempi. La maestra con la bacchetta. L’umiliazione come criterio pedagogico. Hanno nostalgia del passato. Ma non si esce guardando indietro. Bisogna guardare avanti.


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