Roberta,
Non ti scrivo per polemizzare, ma per chiarezza e rispetto verso ciò che sento — e verso la verità, anche quando disturba.
Non ti accuso di infedeltà fisica. Ma qualcosa si è rotto nel patto di fiducia, e sono i fatti, più delle sensazioni, a suggerirmelo.
La sera di venerdì è successa una cosa che non torna.
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Alle 21:30 ti ho scritto che sarei andato via, visto che non rispondevi.
– Il tuo telefono era silenziato da oltre un’ora e mezza, proprio mentre mi aspettavo una risposta come di consueto. -
Alle 22:30 vedo la luce delle scale accendersi, e un uomo — non un’ombra, ma un uomo ben riconoscibile — uscire da casa tua.
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Alle 22:39 mi chiami.
– In quella prima telefonata, mi dici che sei andata a mangiare da sola in Piazza Argentina, a piedi, che avevi il telefono in borsa e non l’hai controllato. -
Poi, alle 23:33, mi richiami.
– In questa seconda telefonata, mi dici che eri a cena con un tuo amico, simile a tuo cugino, che lui ha lasciato la macchina lì da te, che siete andati a piedi, rientrati a piedi, e che è entrato solo per fare pipì dieci minuti.
Queste due versioni si contraddicono.
Se eri da sola, non potevi essere anche con un amico.
Se lui è entrato “solo per dieci minuti”, non poteva uscire da casa tua alle 22:30 dopo più di un’ora.
E quando mi hai detto: “Non ho fatto sesso con lui”,
non te lo avevo chiesto. Ma il bisogno di negare anticipatamente qualcosa è già, in sé, una rivelazione.
Non è la prima volta: ricordo anche quando ti ho vista andare via con l’uomo dei condizionatori mentre ti aspettavo per un gesto di cortesia.
Certe cose lasciano un segno.
Non voglio fare la vittima. Non sei mia. Ma nemmeno posso restare cieco.
Se mi vuoi nella tua vita, fammi spazio.
Altrimenti lascio posto all’aria, così che tu possa respirare pienamente, senza sentire il peso di ciò che non vuoi accogliere.
Erm
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